Dopo 7 anni rivediamo Silvani

Tanzania 8 – 23 giugno 2017

“Terra Rossa”: Appunti e riflessioni di viaggio a cura di Bruna Danese Piubello

17 giugno 2017

 

Oggi grande giornata! All’ostello arriverà verso le 9,30 il nostro Silvani Mengo.

Sveglia, ottima colazione questa mattina, preghiera, riflessioni, ma non ero molto concentrata perché ero in trepida attesa.

Siamo usciti e, puntuali, vediamo entrare dal cancello tre ragazzi, uno era Andreas e quello dietro Silvani. L’abbiamo tutti riconosciuto subito, è sempre uguale, solo un po’ più alto di me ora. È avanzato allargando le braccia e venendo verso di me.

 

Un’emozione grandissima

 

Non riuscivo a sbiascicare tre parole in inglese, ma ci siamo capiti ugualmente perché gli abbracci dicono molto di più delle parole. Silvani ora è un bel ragazzotto, sempre ricciolino, compirà 17 anni fra tre giorni, il 20 giugno, ed è venuto accompagnato dal fratello di 16 anni, Kim Kennedy. Studia, frequenta la 3° superiore alla Consolata di Iringa e vuole specializzarsi in economia. Non parla molto bene l’inglese ed, emozionato, balbettava un po’. Mi è venuto quindi in mente che anche da piccolo quando ci vedeva arrivare si emozionava a tal punto da iniziare a muovere il labbro agitandosi. Ci ha raccontato che è stato all’orfanotrofio sino al 2010 (Vittorio era venuto in ottobre e già non c’era più) e che è stato preso in casa dai nonni assieme a suo fratello. Non abbiamo ben capito dove sia sua mamma. All’epoca sapevamo che aveva ancora un genitore in vita ma che si disinteressava di lui. Piccolo!!! Ad ogni modo ora con i nonni sta bene e può studiare e guardare al futuro con serenità. Suor Flora, più tardi, ci dirà che il nonno è un “ministro delle acque” e può prendersi cura di lui. Per fortuna! Dopo baci ed abbracci e tante foto, ci siamo scambiati i numeri di telefono ed ha chiesto l’amicizia su Facebook a Vittorio. Potremo così tenerci in contatto ed avere sempre notizie. Grazie Grazie Signore! Mi hai fatto un regalo stupendo. Silvani Mengo

Dopo i saluti, con Suor Flora Mtabo, siamo partiti alla volta di Milama. In macchina ero così agitata che ho dovuto persino far fermare l’auto per prendere una boccata d’aria.

Anche oggi ci siamo fermati in un mercato lungo la strada per l’acquisto di frutta da portare alla comunità di suore che lì vivono e gestiscono sia la campagna che un dispensario.

A Milama il nostro gruppo ha parzialmente finanziato il progetto “Shamba la baraka” (campagna benedetta), sobbarcandosi i costi per il trasporto su container dei mezzi agricoli che sarebbero poi serviti per far partire questo progetto di agricoltura, volto a dare lavoro e sviluppo alla zona. Abbiamo poi parzialmente contribuito per la costruzione della casetta per il volontario – Ramon Leone di Cavaion Veronese, detto Baba Simbad (papà leone) – che doveva rimanere in zona per parecchio tempo per arare, dissodare, seminare, raccogliere, insegnando il tutto alle suore ed ad alcuni operai. Si puntava soprattutto a coltivare riso e mais, prodotti base per l’alimentazione.

Col tempo Milama è divenuta proprio un bel villaggio. I trentini vi hanno costruito un attrezzato dispensario ed una casa per le suore.

girasoli a MilamaRicordo perfettamente la prima volta a Milama, nell’agosto del 2002

Eravamo arrivati in zona con Sister Pudensiana e, durante il tragitto, purtroppo avevamo assistito ad un macabro incidente che ci aveva letteralmente sconvolti. Entrati nella fatiscente casa delle suore, ci eravamo appoggiati al tavolo che si era miseramente accasciato su di un lato, facendo cadere rovinosamente a terra tutte le tazzine ed i bicchieri che le suore avevano preparato per noi. Ci eravamo sentiti dei vermi nel vero senso della parola. Una volta rimessoci dagli accaduti, eravamo andati a Morogoro ed avevamo acquisto piatti, tazzine e bicchieri nuovi per le suore.

Per arrivare a Milama si transita su un territorio verdeggiante con piccoli laghi dove i masai si rifocillano, si oltrepassa un mercato molto frequentato e si possono vedere delle prigioni dove, in passato, avevamo potuto osservare i carcerati legati e con la palla al piede! Si passa poi davanti ad una farm con gli struzzi e ad una fabbrica per la lavorazione del pomodoro gestita da europei.

Sino al 2008, in zona, viveva una comunità di masai che lasciavano le loro mogli nelle tende quando loro andavano a cacciare. E quindi, ogni nostra venuta in zona, andava di pari passo con la visita a questo villaggio masai. Allora, appunto, non c’era dispensario e Vittorio che viaggiava sempre con un kit di pronto soccorso ben fornito, veniva chiamato “doctor” e prestava semplici cure come medicazione di una ferita, gocce oculari, pasticche per il mal di testa.don Gianfranco al Villaggio Masai nel 2003 Le donne masai ci omaggiavano dei loro monili che conservo ancora gelosamente, perché non sono quelli “falsi” venduti al mercato. Si lasciavano anche fotografare con noi ed avevamo stabilito una sorta di amicizia con questo rito che ogni anno si ripeteva. Un piccolo Masai, Jhonny, che non aveva mai visto l’uomo bianco, vedendo me bionda e bianca di pelle, si mise a piangere disperato. La mamma lo consolò e capì che gli stava spiegando chi fossimo. Me lo mise poi tra le braccia e senti quel buon odore di latte che è tipico di ogni bambino, qualunque sia il colore della sua pelle.

Spesso, nelle sue omelie, don Gianfranco ricorda con piacere ed amore questi incontri ed ogni volta, noi quattro, ci sentiamo pervadere da un brivido lungo la schiena.

Oggi non ci sono più.  Il Villaggio si è sviluppato e la campagna, che siamo andati a visitare dopo pranzo, è florida. Tantissimo riso, mais, zucche, moltissimi altri ortaggi, karkadè.

Insomma, anche in questo caso, il contributo elargito dal nostro gruppo è servito per far partire un progetto che ora prosegue con le proprie forze. Non è forse questo quello che volevamo?